giovedì 8 ottobre 2009

Licantropo alato

Patrick Wolf, il "licantropo" della musica inglese, irrompe sul palco a cavallo del corrimano della scalinata e impugna subito il violino, suo inseparabile compagno. È un menestrello decadente come il David Bowie dell’epoca glam ed sfoggia una sensuale voce baritonale degna di Boy George.
Passa dagli archi alla chitarra elettrica, dal piano al liuto con più facilità dei cambi d’abito in camerino. È un material boy. Ama trasformare il suo aspetto in un caleidoscopio di figure letterarie.
Prima si presenta da Dioniso ammantato di polvere di stelle, poi da artista queer dall’ambigua identità sessuale, infine da bohemien decadente coperto di un manto di piume.
Come l’albatro, dal volo maestoso e dalla camminata goffa, simbolo del dandy moderno di Baudelaire, Patrick dispiega la sua arte impugnando l’archetto dalle corde lesionate fluorescenti come cavi elettrici. Quasi stenta a mettere in fila le parole negli intermezzi tra una canzone e l’altra. Con gli occhi ingenui sembra implorare comprensione mentre racconta della solitudine da cui nascono i suoi brani e dell’ebbrezza delle feste alcoliche in cui si immerge per dimenticare le delusioni amorose.
Patrick costruisce la sua arte sull’ossimoro. Riveste le spigolose basi beat e dub-step con carezzevoli arie di violino. In un’atmosfera claustrofobica agita la chioma bionda e inneggia al faro accecante nella notte (“I followed the swans. Like i follow my dreams… to the lighthouse”). Canta risoluto della sua insaziabile voglia d’amore (“Mourning for your own true love, why not me for mine”) mentre lascia intravedere il corpo efebico ed immaturo.
Così, una notte di inizio autunno, Vienna ha abbracciato un giovane elfo venuto dal Nord a celebrare la tradizione musicale sulle rive del Danubio.

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