Londra è rimasta un sogno proibito per cinque anni. All’indomani degli attentati alla metro del 2005, la mia scuola di lingua aveva soppresso la gita domenicale nella capitale, preferendo il sonno tranquillo dei nostri genitori ai miei sogni di ragazzino provinciale che al massimo era espatriato a Lugano.
L’occasione per partire me l’ha suggerita Rebecca, la mia coinquilina americana, sempre più a suo agio ad organizzare viaggi per i suoi amici in trasferta in Europa.
Stavolta era il turno di Nick, brillante studente di Political Science a Chicago e Kate, futura psicologa.
Tutti e tre vanno a trovare la loro amica Amy, che studia alla Queen Mary. Mai avevo incontrato ragazzi americani così attratti dal vecchio continente, che non si limitano a spalancare il sorrisone ed evocare gli stereotipi (“Arte, pasta, vita tranquilla … ”) quando gli parli di noi europei.
Infatti in treno Nick mi intrattiene entusiasta su Bentham, Hume e Hobbes. Kate però storce il naso e lo interrompe con un bacio al silenziatore sulla bocca: “Ma la vuoi smettere di fare il secchione? Piuttosto, Alessandro, dimmi in quale stato è Kansas City”. Ecco come in pochi secondi Kate è riuscita a distruggere la mia presunta autorevolezza in geografia e soprattutto a sciogliere il dubbio sulla sua situazione amorosa.
Ma come potete immaginare la delusione più grande non è stata sapere che KC sia in Missouri…
Arrivati a Londra, Amy ha un gran voglia di visitare i magazzini Harrod's. I saldi sono nel clou e il richiamo dei cosmetici francesi è irresistibile.
Così accade che mia prima tappa londinese sia l’impero di Al-Fayed. Per tirarmi su penso a quei turisti che appena atterrano a Milano, vanno a visitare via Montenapoleone.
Il department store è … faraonico, non solo per il blasone dei marchi in esposizione ma anche per lo sfarzo degli allestimenti che richiamano l’Antico Egitto. È quasi stupefacente che Al-Fayed abbia voluto la sua statua abbigliata con un completo borghese invece con i paramenti di Tutankhamon.
Il memoriale di Dodi e Diana eretto al piano terra è così sobrio da sembrare dissonante con le iperboli di Dior e Yves Sant-Laurant. Molti turisti, soprattutto Italiani, lasciano le fastidiose monetine da 2 pence di rame per onorare la memoria della “principessa del popolo” e perché no, svuotare anche il portamonete dopo la carta di credito.
Io aspetto il giorno successivo per dare il colpo di grazia alla mia. E levarmi qualche altro sogno proibito.
mercoledì 24 febbraio 2010
lunedì 22 febbraio 2010
Festa ovale
Nathan me l’aveva garantito “Qui è l’evento dell’anno”.
È il “Sei Nazioni” di rugby. E non stento a crederlo visto che in questi giorni la divisa bianca con la rosa dei Lancaster surclassa anche la felpa griffata dell’università. Nemmeno la “Pretty Green” di Noel ci riesce…
E cosi’ domenica pomeriggio mi hanno invitato come ospite nella tana del tifo inglese, lo SU Bar.
Nathan e i suoi amici mi guardano come se stessero contemplando lo Sheppard pie della loro mamma. Già pregustano la vittoria, galvanizzati dalle quote dei bookmakers e dalla tradizione favorevole. La loro squadra non ha mai perso contro gli Italiani, che hanno raccattato nel 6 Nazioni una decina di anni fa per avere la certezza di 2 punti facili facili gia’ all’inizio del torneo.
Sapete, non e’ bello essere la vittima sacrificale al banchetto degli Inglesi, che di questi tempi sono cosi’ ringalluzziti che pensano, a ragione, di poterci battere in scioltezza anche nel calcio.
Qui e’ molto peggio. Non c’è nemmeno un Fabio Capello a cui affidare le speranze di riscatto, ma solo quindici ragazzi con la maglia azzurra, molti dei quali nati nell’altro emisfero.
I nostri ragazzotti ci mettono la grinta, sin dalla prima nota dell’inno, al punto che mi convincono a cantare, sempre più convinto, l’inno d’Italia in faccia agli sberleffi dei padroni di casa.
Gli Inglesi accolgono la loro nazionale in piedi e cantano l’inno. Come nella migliore tradizione italiana vanno avanti di 4 battute già dopo la prima strofa al punto che iniziano ad applaudire e incoraggiare i loro beniamini ben prima che i giocatori abbiano finito di intonare “God Save the Queen”.
Nel locale di solito riservano un tavolo a scozzesi e gallesi, che pur in netta minoranza, godono del rispetto almeno dell’oste. Ma loro se le sono date di santa ragione il giorno prima ed oggi è rimasto solo Harnold, che si gusta il match sorseggiando una Brain’s in ossequio alle sue origini gallesi.
Sul versante della partita, gli Inglesi hanno meno occasioni del previsto per intonare la marcetta gospel (importata dall’America…) “Sweet Chariot”. Il match è spigoloso, gli Italiani arginano l’attacco asfittico dei rivali con mischie rocciose. Ogni tanto qualche amico di Nathan si complimenta come se fossi la mamma dei fratelli Bergamasco: “Siete meglio anno dopo anno”. Nella migliore tradizione dei vini italiani. Sul calcio piazzato del biondo fratellone siamo 14-12 per gli ospiti. La partita sembra quasi riaperta. Esaltato dal possibile pareggio rompo il silenzio scaramantico che mi sono imposto dall’inizio della partita. Inizio a fantasticare su una possibile caduta degli Dei, come quella degli inventori del gioco del pallone ad Highbury, sommersi dagli Italiani campioni del mondo di Pozzo.
Ma ahime’ Castrogiovanni non e’ Meazza, e quel che e’ peggio, Wilkinson e’ il Messi del rugby. Piazza un drop da manuale e manda i miei amici inglesi a casa contenti. Non prima di avermi stretto la mano. Nostalgia del calcio non ne ho proprio.
È il “Sei Nazioni” di rugby. E non stento a crederlo visto che in questi giorni la divisa bianca con la rosa dei Lancaster surclassa anche la felpa griffata dell’università. Nemmeno la “Pretty Green” di Noel ci riesce…
E cosi’ domenica pomeriggio mi hanno invitato come ospite nella tana del tifo inglese, lo SU Bar.
Nathan e i suoi amici mi guardano come se stessero contemplando lo Sheppard pie della loro mamma. Già pregustano la vittoria, galvanizzati dalle quote dei bookmakers e dalla tradizione favorevole. La loro squadra non ha mai perso contro gli Italiani, che hanno raccattato nel 6 Nazioni una decina di anni fa per avere la certezza di 2 punti facili facili gia’ all’inizio del torneo.
Sapete, non e’ bello essere la vittima sacrificale al banchetto degli Inglesi, che di questi tempi sono cosi’ ringalluzziti che pensano, a ragione, di poterci battere in scioltezza anche nel calcio.
Qui e’ molto peggio. Non c’è nemmeno un Fabio Capello a cui affidare le speranze di riscatto, ma solo quindici ragazzi con la maglia azzurra, molti dei quali nati nell’altro emisfero.
I nostri ragazzotti ci mettono la grinta, sin dalla prima nota dell’inno, al punto che mi convincono a cantare, sempre più convinto, l’inno d’Italia in faccia agli sberleffi dei padroni di casa.
Gli Inglesi accolgono la loro nazionale in piedi e cantano l’inno. Come nella migliore tradizione italiana vanno avanti di 4 battute già dopo la prima strofa al punto che iniziano ad applaudire e incoraggiare i loro beniamini ben prima che i giocatori abbiano finito di intonare “God Save the Queen”.
Nel locale di solito riservano un tavolo a scozzesi e gallesi, che pur in netta minoranza, godono del rispetto almeno dell’oste. Ma loro se le sono date di santa ragione il giorno prima ed oggi è rimasto solo Harnold, che si gusta il match sorseggiando una Brain’s in ossequio alle sue origini gallesi.
Sul versante della partita, gli Inglesi hanno meno occasioni del previsto per intonare la marcetta gospel (importata dall’America…) “Sweet Chariot”. Il match è spigoloso, gli Italiani arginano l’attacco asfittico dei rivali con mischie rocciose. Ogni tanto qualche amico di Nathan si complimenta come se fossi la mamma dei fratelli Bergamasco: “Siete meglio anno dopo anno”. Nella migliore tradizione dei vini italiani. Sul calcio piazzato del biondo fratellone siamo 14-12 per gli ospiti. La partita sembra quasi riaperta. Esaltato dal possibile pareggio rompo il silenzio scaramantico che mi sono imposto dall’inizio della partita. Inizio a fantasticare su una possibile caduta degli Dei, come quella degli inventori del gioco del pallone ad Highbury, sommersi dagli Italiani campioni del mondo di Pozzo.
Ma ahime’ Castrogiovanni non e’ Meazza, e quel che e’ peggio, Wilkinson e’ il Messi del rugby. Piazza un drop da manuale e manda i miei amici inglesi a casa contenti. Non prima di avermi stretto la mano. Nostalgia del calcio non ne ho proprio.
martedì 9 febbraio 2010
Fughe spietate
Le fughe lampo all’estero sono il turismo del futuro. Le organizzano tutti, dai Servizi Segreti alle squadre di calcio per rasserenare l’animo dei calciatori.
In questo periodo il mio estero è l'Italia.
E anche a me domani toccherà provare la toccata e fuga. Non sarà sanguinaria come quella di Sordi ne “Il Mafioso”, ma altrettanto spietata. Per non lasciare superstiti a settembre.
In questo periodo il mio estero è l'Italia.
E anche a me domani toccherà provare la toccata e fuga. Non sarà sanguinaria come quella di Sordi ne “Il Mafioso”, ma altrettanto spietata. Per non lasciare superstiti a settembre.
mercoledì 3 febbraio 2010
La fama fa crack
Ehi Morgan, non avevi capito che solo Amy Winohouse può sniffare coca, finire nel tritacarne e poi partecipare a Glastonbury e ai Grammy Awards senza che nessun politico le chieda di sottoporsi al test del capello?
Non sapevi che Jim Morrison non andava alla NBC a dire che era bello farsi e che Syd Barrett, imbottito di Lsd, non era ospite dei talk show per le famigliole borghesi del Surrey?
Ehi Morgan, ma non ti era ancora chiaro che in Italia viene punito chi ammette le cattive azioni e non chi le commette?
Non sapevi che Jim Morrison non andava alla NBC a dire che era bello farsi e che Syd Barrett, imbottito di Lsd, non era ospite dei talk show per le famigliole borghesi del Surrey?
Ehi Morgan, ma non ti era ancora chiaro che in Italia viene punito chi ammette le cattive azioni e non chi le commette?
martedì 2 febbraio 2010
Niente sesso, siamo Inglesi
Al rombo di Ancelotti John Terry, capitano del Chelsea, preferisce il triangolo. Ma gli schemi e le alchimie tattiche non c’entrano. Il giocatore e’ al centro di un linciaggio mediatico per la scappatella con Vanessa, moglie di un suo compagno di nazionale, Wayne Bridge.
La scorsa settimana Terry, urtato dalle voci sempre più insistenti sugli itinerari sospetti della sua Bentley, aveva chiesto al tribunale di bloccare le insinuazioni dei giornali. L’Alta Corte gli ha dato torto e ha prodotto una sentenza che ha fatto clamore nella patria della privacy surveillance: nel caso di un personaggio pubblico il diritto all'informazione ha sempre la precedenza sulla difesa della vita privata. I giornali e le televisioni hanno cantato vittoria e sono partiti alla carica del focoso Terry, che ironia della sorte, era stato votato in un sondaggio il “papà ideale” lo scorso autunno. Nel giro di poche ore l'idolo dei Blues si è trovato nel mezzo della bufera: la moglie Toni lo ha mollato, gli sponsor hanno minacciato la ritirata e il Ministro dello Sport britannico è sceso in campo per convincere Capello a trovare un capitano più degno del reprobo difensore del Chelsea ai prossimi Mondiali.
Il finale è già scritto: Terry perderà la fascia e la faccia per aver urtato quei noiosoni puritani degli Inglesi mentre la procace Vanessa, già ingaggiata da un’agenzia di pr, mostrerà il suo talento in qualche reality show.
Niente sesso, siamo Inglesi. Appunto.
La scorsa settimana Terry, urtato dalle voci sempre più insistenti sugli itinerari sospetti della sua Bentley, aveva chiesto al tribunale di bloccare le insinuazioni dei giornali. L’Alta Corte gli ha dato torto e ha prodotto una sentenza che ha fatto clamore nella patria della privacy surveillance: nel caso di un personaggio pubblico il diritto all'informazione ha sempre la precedenza sulla difesa della vita privata. I giornali e le televisioni hanno cantato vittoria e sono partiti alla carica del focoso Terry, che ironia della sorte, era stato votato in un sondaggio il “papà ideale” lo scorso autunno. Nel giro di poche ore l'idolo dei Blues si è trovato nel mezzo della bufera: la moglie Toni lo ha mollato, gli sponsor hanno minacciato la ritirata e il Ministro dello Sport britannico è sceso in campo per convincere Capello a trovare un capitano più degno del reprobo difensore del Chelsea ai prossimi Mondiali.
Il finale è già scritto: Terry perderà la fascia e la faccia per aver urtato quei noiosoni puritani degli Inglesi mentre la procace Vanessa, già ingaggiata da un’agenzia di pr, mostrerà il suo talento in qualche reality show.
Niente sesso, siamo Inglesi. Appunto.
Iscriviti a:
Post (Atom)