martedì 11 agosto 2009

Cronache dalla frontiera

La frontiera si è spostata più in là. Fino a sessant’anni fa il Danubio segnava il confine tra il mondo occidentale e le frattaglie sovietiche, di cui Bratislava era l’avamposto. Ora l’Europa capitalista ha attratto a sé la capitale slovacca: poco più di un’ora di treno da Vienna, fiumi di turisti, vita di tendenza.
Martin, trentenne slovacco, sociologo e collaboratore di una società di marketing, ci guida alla scoperta di uno dei simboli dell’Est rampante. Ci aspetta alla stazione di Petržalka, il sobborgo progettato dai sovietici sull’altra sponda del Danubio, dopo la seconda guerra mondiale. D’impatto Bratislava mi è cara. Mi riapproprio del gusto di aspettare per piú di quindici minuti i bus rattoppati, osservo i marciapiedi dissestati pensando al mio meridione distratto, mi affeziono agli abbinamenti architettonici dissonanti: le vecchie case da regime, schierate come un esercito di combattenti stanchi, pian piano scompaiono a favore di nuovi edifici slanciati progettati per ospitare giovani coppie. Qui c’è anche il gigantesco shopping mall dove ci tratteniamo a pranzo. “Centomila Euro per cinquanta metri quadri. Un appartamento costa più che a Vienna, i prezzi sono aumentati molto in pochi mesi, molti dei miei amici non sanno più se comprare una casa nuova” ci racconta Martin, mentre inforchetta l’halusky, gli gnocchi slovacchi. L’arrivo della moneta unica pochi mesi fa è stato accolto con grande speranza: “Pensa a quanti turisti in più potranno arrivare qui invece che a Vienna, grazie all’aeroporto. E il meglio deve ancora venire: nel 2012 l’Austria e la Germania apriranno le frontiere ai lavoratori slovacchi. Ci saranno grandi opportunità per noi”. Chissà cosa ne pensano i muratori nell’Alta Austria che temono di essere spazzati via dai lavoratori dell’Est. Sembra che solo loro, i nuovi arrivati delle ex repubbliche sovietiche, riescano a trovare i vantaggi dell’Unione a 27. Dentro il centro commerciale ci sono centinaia di persone: i bambini scorrazzano tra i giochi al centro del boulevard, i giovani affollano i negozi di telefonia, attratte dalle offerte stracciate, i patiti del fitness corrono sui tapis-roulant del cento benessere. Potrebbe essere Roma o una cittá in Carolina del Nord, invece è un ex baluardo comunista. A pochi passi dal centro commerciale, lungo la riva del Danubio, la T-Mobile ha insediato una spiaggia artificiale, un piccolo villaggio turistico con campi di calcetto e beach volley. Il drink e i Ray Ban sono d’ordinanza. Un martellante ritmo arriva da un battello: é la musica latino-americana che agita decine di belle ragazze. I turisti britannici le guardano con inspiegabile sufficienza, quasi con distacco. “Non farci caso – mi tranquillizza Martin – sono venuti qui per festeggiare l’addio al celibato dei loro amici. La notte, mentre gli italiani e gli spagnoli si danno da fare con le nostre ragazze, loro pensano solo ad ubriacarsi. Sono i vostri migliori alleati!”. E come dargli torto? Di notte la cittá si trasforma da meta turistica di massa in uno degli epicentri della movida europea. Le donne portano in giro i loro lustrini e aspettano civettuole i richiami dei ragazzi latini che affollano i bar e i locali del centro. Mentre gli alfieri britannici pensano a battere i record di velocitá e resistenza di ingestione di alcolici, spagnoli e italiani si contendono lo scettro di seduttori. Il risultato non ha importanza. Mai come in questi casi l’importante è partecipare.

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