
Inglorious Basterds è la Seconda Guerra Mondiale secondo Quentin Tarantino. Un film spensierato che si permette di riscrivere il destino in nome della passione cinefila e del cinema “di genere”.
Non aspettatevi un film monolitico, uno Schindler in salsa splatter. Immaginate piuttosto un’opera mutevole, che inizia come film di guerra, poi passa allo storico, accenna la commedia e arriva al gangster movie.
La pellicola, che si ispira palesemente a Quella sporca dozzina, spreca le citazioni perché, come ammette lo stesso Quentin, “I grandi artisti rubano”.
La sceneggiatura intreccia due storie che si riuniscono nel finale. La “pulp mission” di un manipolo di soldati giudaico-americani paracadutati nella Francia occupata per uccidere, e scalpare, i Nazisti, sotto la guida di Aldo «l' apache» (Brad Pitt) che con forte accento del Tennesse istruisce i suoi col motto “The Nazis need to be deeeestroyed”. E la storia introspettiva di una ebrea sopravvissuta al massacro della propria famiglia, assetata di vendetta contro il regime di Hitler.
Su tutto spicca l’interpretazione poliedrica di Christoph Waltz, nel ruolo dell’ ufficiale nazista Hans Landa, il vero protagonista, così sofisticato da parlare fluentemente quattro lingue, compreso l’italiano.
Tarantino regala due spunti di interesse.
Il primo è il tema tabù della vendetta del popolo Ebraico ai danni dei loro persecutori. Dopo sessant’anni, il cinema a senso unico che ha quasi ignorato le insurrezioni del Ghetto di Varsavia e le truppe di volontari Ebrei nell’esercito Sovietico concentrandosi sul sorriso triste di Anna Frank, dà anche un’altra versione dei fatti: non sono più i Nazisti i carnefici e gli Ebrei le inermi vittime. Così Tarantino si pone sulla scia di altri due recenti film “revisionisti”: Defiance, che narra di una comunità ebraica rifugiata in Bielorussia e Munich che ripercorre gli sforzi di Israele per assassinare i terroristi di Monaco ’72.
I tempi sono cambiati. La nuova immagine di Israele è quella di uno Stato militare potente che, dopo le recenti dimostrazioni di forza contro i suoi vicini, ha dimostrato (volenti o nolenti) di spadroneggiare con il supporto americano in Medio Oriente.
Il secondo spunto riguarda l’ambizione dello stesso Tarantino che legge la storia come una grande epopea criminale, un thriller. Dove Spielberg non si sognerebbe mai di proiettare uno schiavo di Hitler che tira fucilate sui tedeschi o Benigni di mostrare l' ebreo che frega il kapò, lì emerge la fantasia di Tarantino che filma dita infilate nella carne, scalpi scotennati e crani martoriati da randellate. Alla fine, la sua rilettura è così accurata e psicologicamente soddisfacente da rendere i Bastardi Senza Gloria onesti rivali dei loro predecessori cinematografici.
Tarantino, giunto alla maturità, sente la sua personalità più forte delle sue stesse opere. Per questo cerca di rinnovare i canoni del film di guerra che ha innalzato alla gloria i più grandi registi della storia recente: il Coppola di Apocalypse Now, il Kubrick di Full Metal Jacket, lo Stone di Platoon e lo Spielberg di Salvate il soldato Ryan.
La guerra è il momento culminante dei valori di una nazione perché, come diceva Eisenhower, “non fa spendere solo soldi, spende anche il sudore dei suoi lavoratori, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi bambini”. E, perché no, frutta il picco d’ incassi e di fama ai suoi narratori.
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