Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera inedita del’64 di Indro Montanelli a Pietro Nenni, segretario del PSI, sulle nomine RAI.
Il decano dei giornalisti italiani elencava senza giri di parole i papabili al ruolo di Presidente della RAI e stroncava molti altri, inclusi esimi studiosi del rango di Carlo Bo. A suo dire, un presidente amante delle raffinate letture, di scarso polso, e spocchiosamente distaccato da uno strumento nuovo e innovativo come la TV (se l’avesse letto Pasolini …) avrebbero impedito alla RAI dell’epoca, in gran parte sotto l’abbraccio narcotizzante della DC, di essere guida vitale di una società in crescita. Molto meglio sarebbe stato affidarla ad un manager dal minore fervore intellettuale ma con maggiore capacità organizzativa.
La lettera di Montanelli mi ha fatto venire in mente 2 ovvietà e una leggenda.
Prima ovvieta'. La storia della RAI lottizzata inizia ben prima di quanto Di Pietro denunci. Se nel 1964 il giornalista di punta del Corriere interpellava il capo di un partito con il 13% dei voti , allora c’erano almeno altri due partiti (PCI e DC) che insieme al socialista si sarebbero divisi le poltrone della TV. E’ un caso che le reti RAI siano diventate 3 nel giro di 15 anni?
Seconda ovvieta'. Se i partiti hanno iniziato a distribuire i posti in RAI in base alle tessere fin dagli albori, allora capiamo come la TV di stato sia arrivata a contare ben 13 mila dipendenti (compresi quelli a tempo determinato) nel 2005. Contro i 6.500 dipendenti di Mediaset, la metà. Ma senza avere il doppio degli ascolti e del fatturato rispetto alla concorrenza.
La leggenda. L' ultimo re d' Egitto si chiamava Faruk. Era un reuccio da nulla dedito soltanto alla bella vita. Amava soprattutto il gioco. E al gioco, il poker, voleva sempre vincere, in questo modo: aspettava di vedere le carte degli altri, e poi lui dichiarava una mano superiore senza farla vedere. «Parola di re», diceva. Gli altri giocatori si sottomettevano; dopotutto lui era un re, e loro erano lusingati di essere ammessi al suo tavolo.
Berlusconi definisce una «doppia menzogna» sostenere che in Italia lui monopolizza stampa e tv. Perché, asserisce, la stampa scritta è «all' 85 per cento di sinistra contro i moderati», e le reti Rai «sono molto libere e il 75 per cento dei giornalisti è di sinistra». Ma qui Berlusconi commette l' errore di scoprire una carta (su cinque). Se ci dà delle percentuali (la carta che scopre) allora quelle percentuali le deve comprovare.
Ma l’Italia è un Paese in cui non si guarda nel mazzo del re, e tutti sono disposti a perdere pur di ottenerne i favori.
Per quanto potremo andare avanti prendendo tutto per buono, «parola di re»? Probabilmente fin quando non avremo una seria legge di riassetto delle TV. Quella sul conflitto di interesse non serve a nulla se continua a consentire ad un solo personaggio di avere di fatto il controllo della tv di stato e ai partiti la certezza di piazzare i non eletti e i loro amici di sezioni negli uffici di Viale Mazzini.
Tempo fa Giovanni Sartori lanciò una proposta che provocò lo stesso scalpore di un singhiozzo in un Maracanà gremito in ogni ordine di posto.
Un servizio pubblico blindato da invasioni politiche come la Bbc inglese, che lascia interamente la pubblicità alla televisione commerciale, che a sua volta paga le sue concessioni trasferendo alla tv pubblica metà dei suoi profitti pubblicitari. Oppure una TV di stato sul modello francese, sottratta alla pappatoia dei partiti da una autorità amministrativa indipendente, il Conseil Supérieur de l' Audiovisuel e di proprietà dei privati con quote bassissime.
Il motivo per cui queste proposte caddero nel silenzio è lo stesso per cui, nel ’64, come Presidente della RAI non fu scelto né un manager proposto da Montanelli né un intellettuale caro all’intellighenzia, bensì Pietro Quaroni, diplomatico e uomo fidato dei partiti.
Finché sono loro a comandare in RAI, il re avrà vita facile a poker.
venerdì 24 luglio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento