giovedì 9 luglio 2009

Il Cavaliere e il popolano


Bob Geldof non è stato un grande cantante. Ci ha lasciato una sola grande hit “I don’t like Mondays”, inno giovanilistico ispirato ad una strage in un college da parte di uno studente psicolabile.

Ma tutti gli siamo riconoscenti per aver regalato al mondo due eventi eccezionali, Live Aid e Live Eight, che hanno diffuso in musica la tragedia del continente africano.

Il primo concerto, datato 1985, ebbe due flash luccicanti: Freddy Mercury che entusiasma il pubblico di Wembley con “We are the champions”, Bono che salta giù dal palco e balla con una ragazza del pubblico.

Il secondo, organizzato a 20 anni di distanza fu un evento politico rivolto a creare pressioni sul G8 di Gleneagles per aumentare i fondi a favore dei Paesi africani.

Nonostante l’onda emotiva degli attentati a Londra ad opera di Al Qaida, a pochi giorni dal Summit, gli 8 grandi trovano il tempo per accogliere l’appello lanciato dal Live Eight, impegnandosi ad aumentare gli aiuti fino a 21,5 miliardi di dollari entro il 2010, il doppio rispetto a quanto stanziato nel 2004.

Pochi giorni fa, alla vigilia del G8 dell’Aquila, Geldof è tornato alla ribalta per attaccare i Paesi che non hanno rispettato gli impegni presi quattro anni fa, puntando l’indice contro l’Italia che ha destinato solo il 3% dei fondi promessi.

Lo scorso 5 luglio, Geldof, nel ruolo di “condirettore per un giorno” de “La Stampa”, ha pubblicato sul quotidiano torinese una monografia sul dramma dell’Africa e avuto l’opportunità di avere un faccia a faccia con Silvio Berlusconi.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/africa/200907articoli/45230girata.asp

Se avete sempre desiderato un Berlusconi in difesa ma non avete mai osato chiederlo, eccovi accontentati. Quello ritratto dalla cronaca di Mario Calabresi è ben lontano dal politico spavaldo che risponde per le rime agli attacchi o declama monologhi nei salotti televisivi, è piuttosto il Cavaliere che si fa schermo dei suoi scudieri dall’assalto del "rozzo" popolano idealista.

Sarebbe troppo facile prendersela con il Premier per non aver mantenuto la promessa di scucire alle prosciugate casse dello stato Italiano un consistente assegno per l’Africa: altri Paesi hanno negato l’aiuto promesso, come la Francia. La "real politik", soprattutto in tempi di austerity, impone un fermo interesse per le questioni interne.

Sono le giustificazioni accampate da Berlusconi a saper di stantio: la crisi, la lontananza dal governo per due anni e mezzo, i vincoli imposti dall’Unione Europea e … dalla magistratura.

Se c’era un terreno su cui Berlusconi proprio non poteva sottostare alle accuse taglienti di Geldof era la credibilità internazionale, più dell’onore personale, più della fedeltà alla parola data. Ed invece ha ceduto miseramente alla tentazione di considerare il political-singer il Franceschini di turno, l’omuncolo mandato dall’opposizione a contestargli l’allegra vita coniugale .

Faccio fatica a considerare autorevole politico sulla scena internazionale chi affastella scuse, segnala coincidenze, addebita responsabilità scambiando la polemica politica nazionale con le grandi questioni mondiali.

Nei Paesi Anglosassoni vige una regola rigidissima: sono i dati che decretano il successo di un politico.

In Italia la realtà è ondivaga: ai numeri seri si oppongono opinioni. E ad accuse incalzanti si risponde con promesse.

Così lo scorso 8 luglio, Berlusconi “Mister 3%”, come l’ha causticamente definito Geldof, si è auto-ribattezzato “Mister 61,4 %”, ispirandosi al fantomatico dato sulla popolarità, che snocciola ogni giorno da mesi a questa parte. E a chi lo incalzava sui ritardi dei contributi promessi all’Africa, ha risposto con un “farò tutto il possibile”.

Consiglio a Geldof di commissionare sondaggi sulla popolarità in Africa di Berlusconi.

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