E’ finito il Tour. “Vive le Tour!” si dirà al termine di un’edizione ravvivata dal circo mediatico attorno a Lance Armstrong e dallo strapotere atletico e tattico di Alberto Contador.
Per noi Italiani è stata una corsa in tono minore, non tanto per i risultati dei nostri, quanto per il commento bolso e stantio dell’inetto Auro. Il Bulbarelli è lo stereotipo dell’ignavo, dall’abbigliamento impiegatizio e dal sapere pedissequo. Perfetta iconografia dello Zeno di Svevo.
Il Bulbarellismo, come l’ha definito Aldo Grasso, e’ il concetto dell’inettitudine che trascende il corpo e il nome. E’ un “topos” che trova una declinazione appropriata in ogni sfaccettatura dell’umanità: Bulbarelli lo incarna nel giornalismo sportivo, Marzullo nell'intervista, Gasparri nella politica e cosi' via.
Il comune carattere e’ l’ “horror vacui” intellettuale che restituiscono allo spettatore.
Auro, il cui nome non sfigurerebbe per un omogeneizzato o un ghiacciolo, ha rispettato tutte le tappe di avvicinamento al suo karma: figlio di un collaboratore del Giro d’Italia, sin da giovane mostra interesse per la cultura “triviale” (nel senso di “comune” e di “fintamente enciclopedico, tipico del campione di Trivial Pursuit”) ed esordisce in tv nel grigio anonimato di un quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno. Da lì inizia inesorabile l’ascesa (o se volete, declino) con le stanche telecronache notturne del deprimente biliardo (non me ne vogliano gli amanti delle 15 palle) che lo proiettano verso il ciclismo.
Con Davide Cassani ha reinventato il concetto di coppia grottesca come Lemmon e Matthau hanno riscritto i canoni di quella comica: leggendari sono la definizione di “lavagnaio” affibbiata al motociclista che espone la lavagna del vantaggio, l’accurata analisi di maltodestrine ed ematocrito, i soliloqui didascalici sui vini del Borgognone.
Il ciclismo eroico ha il suggello dell'incipit del radiocronista Mario Ferretti: «Un uomo solo è al comando, la sua maglia biancoazzurra, il suo nome Fausto Coppi».
Quello del boom economico ha la narrazione acuta del “Processo alla tappa” di Sergio Zavoli.
La deriva dello sport a pedali arriva con il “Tenta la figa … pardon la fuga” del pur bravo mestierante De Zan, che solo Bulbarelli (chi altrimenti!) ha saputo superare descrivendo i "tratti semantici”, e non somatici, di un corridore in maglia gialla.
lunedì 27 luglio 2009
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Quest'anno secondo me c'è stata una congiura ai danni del povero Auro da parte di Cassani e della De Stefano che spesso e volentieri lo interrompevano contraddicendolo! Povero Auro...tornerà alle 15 palle.
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